Forse dovrei scrivere qualcosa sul fatto che questo blog è stato abbandonato a sé stesso per un numero indecente di mesi. O magari dovrei esprimere la mia amarezza nel constatare che i post in mia assenza non si organizzano in modo autonomo scrivendosi da soli. Ho persino considerato il rientro classico. Quello in cui si buttano al vento i buoni propositi di essere più presenti e costanti. Ma ormai siamo a Febbraio. E tutte quelle fesserie da “anno nuovo, vita nuova” hanno superato la data di scadenza. In ogni caso non potrei mai essere meglio di così. Nemmeno se mi ci applicassi. Probabilmente ha ragione Kid_A il quale sostiene di aver pensato che con il tempo sarebbe riuscito ad educarmi, a rendermi un po’ meno selvaggia e un po’ più massaia. Mentre, a consuntivo, risulterebbe evidente ai suoi calcoli che non faccio altro che peggiorare. Lo adoro quando mi dice questo genere di cose. Dopo il Latitante mi ero ripromessa che non avrei più cambiato nemmeno una virgola di me stessa per un uomo. E pare che sia sulla buona strada…
Venendo al motivo del mio ritorno, o meglio, all’assenza di un motivo valido per tornare a scrivere, ho deciso di buttarmi su un evergreen. Il tema post natalizio che tutti noi, ai felici tempi delle scuole elementari, ci trovavamo puntualmente a scrivere in questo periodo dell’anno. All’epoca per me era un casino, perché ogni anno facevo esattamente le stesse cose. Visite al parentado, visite del parentado, panettone, cenone, pupazzo di neve, messa di mezzanotte. E nel mezzo di tutto questo c’ero io, che, pur avendo solo otto anni, già ero certa che un simile loop valesse bene il suicido. E la maestra. Che mi accusava di aver riciclato il componimento dell’anno precedente. Devo essere rimasta in qualche modo traumatizzata da questa giovinezza infame, perché ogni volta che si avvicina il Natale, sento il bisogno di scappare. Preferibilmente in qualche paese lontano in cui Gesù non l’hanno mai sentito nominare.
Così a Novembre alla televisione passavano questa pubblicità. Diceva “Sudafrica a partire da 1.590 euro”. Avrei preferito se avesse affermato qualcosa tipo “Sudafrica: la terra dove non esiste il Natale”. Ma mi sono comunque autoconvinta che da quelle parti il baraccone natalizio non fosse molto in voga. E non sono arrivata troppo lontana dalla verità. Visto che una guida ci ha spiegato chi erano Gesù e sua madre per mostrarci quest’ultima presuntamente visibile sulla parete di una grotta. Tornando all’origine dei miei progetti di fuga, non è che il prezzo rientrasse nelle mie tasche. Ma considerato l’approssimarsi della sudatissima tredicesima, ho pensato che si potesse fare. Così l’ho proposto a Kid_A. Il quale mi ha guardata come se venissi da Saturno. E mi ha risposto con parole che non lasciavano spazio alle speranze. Mi sarei potuta tranquillamente arrendere. Del resto non avevo mai messo il Sudafrica tra le mie destinazioni ad alto gradimento. Anzi non l’avevo nemmeno calcolato. Un po’ come tutti i paesi in cui mi sono trovata a viaggiare nell’ultimo anno. Insomma c’erano tutti i presupposti per passare oltre. E rassegnarsi al presepe, alle cene di fine anno e ai film natalizi. Ma non sarebbe stato da me. Così ho iniziato una campagna di martellamento round-the-clock. Non credevo che le cose sarebbero cambiate. Ma le coppie devono pur avere qualcosa di valido su cui litigare. Peccato che Kid non sia un tipo bellicoso. E dopo pochi giorni ha alzato bandiera bianca. Piuttosto deludente. In ogni caso alla resa ha posto un paio di condizioni. La prima era che pensassi a tutto io. Il che si poteva fare, nonostante la sottoscritta non abbia mai brillato per doti organizzative. La seconda era che pagassi l’esatta metà della quota. Cosa che non è mai successa né probabilmente mai accadrà, visto che gli devo ancora 500 euro da quando, un anno fa, siamo stati in India. Comunque ho accettato. E mi sono immediatamente inabissata nei preparativi per un fly&drive. Sono partita dal presupposto che in Sudafrica non saremmo mai più tornati e che quindi valesse la pena di vedere il maggior numero di cose possibili. Perciò ho stabilito che avremmo dedicato un giorno all’Escarpment Route. Perdendomi in una serie infinita di calcoli astrali su come percorrere 400 km in un giorno facendoli sembrare 200. Fortunatamente Kid_A non ha avuto nulla in contrario. Non una singola parola circa il fatto che in due giorni avessimo già macinato quasi mille chilometri. Salvo poi sentenziare senza appello che tutti quegli alberi e cascate ce li saremmo potuti tranquillamente risparmiare. Al che ho deciso che avrei lasciato a lui le redini del viaggio. Terribile errore. Da grande appassionato di documentari sugli animali, ha deciso che avremmo trascorso il resto delle nostre ferie al Kruger. Senza uscirne mai. E così è stato. Lì per lì non mi è sembrata un’idea da un milione di dollari. Ma poiché lui era il mio principale finanziatore, non ho potuto controbattere nulla. Sospettavo che il Kruger fosse come il Parco Faunistico delle Cornelle. E che Kid si sarebbe comportato come la mia maestra delle elementari. In altri termini: pensavo sarebbe stato noioso. Invece no. Per dieci giorni abbiamo inseguito leoni e leopardi, con appostamenti da un’ora l’uno. In pratica un massacro. Ne sono uscita con la pelle bruciata che mi si staccava dal viso. Alla faccia della stagione delle piogge. E con la schiena che aveva preso l’incurvatura esatta dello schienale del sedile, le gambe atrofizzate e un migliaio di fotografie di tutti gli animali che vivono nel parco, ad eccezione dei licaoni. Kid è stato hitleriano: sveglia alle 04,30 e rientro al rest camp alle 17,30. Il tutto per la durata di ben dieci giorni. Volevo prendere la malaria. Volevo morire. Però il Sudafrica è stato emozionante. Molto diverso da quanto prevedessi. Non che avessi delle reali aspettative, né idee o altre raffinatezze da viaggiatrice impegnata ed informata. E’ che trovarmi in un luogo dove gli animali sono i padroni di casa e l’uomo deve comportarsi di conseguenza ha reso tutto molto amplificato. La fatica, la soddisfazione, la bellezza, la calma. E alla fine a tutti quegli animali mi sono persino un po’ affezionata. Il che è strano per una come me. Che non sapeva quale aspetto avesse un impala. Che non immaginava esistessero i facoceri. Che era entusiasta all’idea di vedere una famiglia di elefanti quanto lo è di timbrare il biglietto dell’autobus. Una che aveva solo voglia di fuggire dalle questioni natalizie e che si è trovata in un luogo concettualmente diverso da qualsiasi cosa avesse mai immaginato. Ed ha apprezzato il potere rigenerante che la natura le ha saputo offrire. Non sono tornata in Italia da estremista animalista. Gli estremismi mi fanno paura, schifo o pietà. A seconda dei giorni. Quindi non diventerò vegana, né butterò le scarpe di pelle o adotterò cani abbandonati. Però vedere i camosci sulla strada verso l’Obitorio e sapere che presto qualcuno potrebbe ucciderli adesso mi fa un po’ più tristezza.