Rispondete numerosi, please…

fireNormalmente scrivo su questo blog esclusivamente per me stessa. Non do grande importanza al numero di likes e di commenti che ricevo. Del resto, se lo facessi, avrei già chiuso i battenti da un pezzo. Invece, sebbene sia estremamente discontinua ed abbia scritto decine di post di cui sono pentita e che avrei la tentazione di cancellare, sono ancora qui. Senza un motivo preciso. O forse il motivo esiste ed è banale. Come molte persone che parlano poco sono portata a scrivere tanto. Riverso sulla tastiera tutto quello che non riesco a dire. O che non voglio dire. O che presumo nessuno sia interessato ad ascoltare. In effetti raramente quello che scrivo suscita l’interesse altrui. Ma va bene così. Odio le persone che mi tediano verbalmente con le loro fisime e paranoie. Cucirei la bocca alla metà delle persone che mi rivolgono la parola. E se proprio ci tenessero ad esprimersi, consiglierei loro di aprire un blog. Che è quello che ho fatto io per ovviare al problema.

Fatte tutte queste belle premesse, provvedo subito a stravolgerle. Giusto per essere un esempio interstellare di coerenza. Questa volta le cose girano diversamente: sto scrivendo questo post non per tracciare i percorsi del mio vagabondaggio dentro ad un cervello sconnesso, ma perché ho bisogno di un feedback da parte di chi si trovasse per caso a passare di qui.

Per andare sul concreto, un paio di giorni fa stavo scrivendo un post. La televisione, di per sé abbastanza poco interessante, mi ha abbandonata nel mezzo di una noiosissima serie televisiva, di cui fatico a capire chi siano buoni e chi i cattivi. Suppongo che questa ambiguità dovrebbe esserne il punto di forza, ma non saprei. A me piace tifare per i cattivi. Ma come faccio se non so chi sono?… Insomma lo schermo è diventato blu e un messaggio mi ha avvertita che, se avessi voluto proseguire la visione, avrei dovuto scollegare e ricollegare una serie di cavi ed eseguire un certo numero di improbabili operazioni di ripristino. Ora, io e la tecnologia non siamo particolarmente amiche, per cui ho deciso di lasciar perdere e buttar giù quattro righe sul PC, il quale, per inciso, appartiene a Kid_A. Alla fine le mie poche righe credo siano diventate parecchie di più di quanto mi aspettassi e nel mezzo di tutto quell’elucubrare ho seminato a caso anche un paio di cattiverie su Kid_A. Niente di eccessivo. Ma comunque nulla che volevo lui leggesse. Avevo salvato gran parte del mio deliquio sul desktop, senza immaginare che il PC stesse meditando il suicidio. Ma così è stato. Lì per lì non l’ho presa troppo male. Abbandonata da due “elettrocose” nell’arco di mezz’ora ho pensato che fosse meglio non fare terna con il cellulare, il lettore MP3 o altro di simile. Le due opzioni erano i grani del rosario o il sonno. Non essendo in possesso del primo ho optato per il secondo. La mattina successiva ho provato ad accendere nuovamente il computer. Ero certa che avesse cambiato idea sul fatto di morire. Invece sono stata accolta da una simpatica schermata che, fingendo di concedermi una serie di opzioni di ripristino, mi riportava sempre al punto di partenza. Frustrante. Finché non ho focalizzato sul file della sera prima. E lì la mia demoralizzazione si è trasformata in panico. Panico. Panico.

Se avessi voluto che il mio blog venisse letto da quelli che conosco e di cui scrivo ci avrei messo nomi e cognomi, in primis il mio, e riferimenti geografici specifici. Ma va da sé che non è così…

Dovevo fare qualcosa per schivare il disastro. In mancanza di meglio ho disinstallato il sistema operativo. Distruggere le cose mi riesce particolarmente bene. E mi sono sentita transitoriamente sollevata… Nel mio mondo perfetto avrei ammesso una modica quantità di colpevolezza e avrei portato il computer di Kid in un qualche remoto negozio di informatica. Magari avrebbero recuperato e letto il mio file, ma poco mi sarebbe importato. Poi ho scoperto di aver commesso un fatale errore: non ho calcolato tutti legami di parentela fino alla cinquantesima generazione.

Così quando con faccia fintamente stupita ho riferito a Kid_A del fattaccio, mi sono sentita rispondere che non c’era motivo di preoccuparsi: Cognato Orso ha un fratello che fa il tecnico informatico. Lui avrebbe risolto la cosa.

Stavo per svenire. Sto per svenire anche adesso. Il computer è finito nelle mani di uno della famiglia. Uno di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza. E mi tremano i polsi se penso che la “lieta novella” delle mie elucubrazioni, di generazione in generazione, potrebbe tramandarsi fino a giungere a Kid.

Alla fine di tutto questo papiro quello che vorrei sapere è se esiste qualche speranza che, avendo raso al suolo il sistema operativo, il mio file possa essersi smaterializzato.

Rispondete numerosi, please…

Avrei un paio di titoli in mente ma sarebbero entrambi troppo disgustosi…

Ci sono giorni proprio di merda. E oggi è uno di quelli. La gola mi brucia. La testa mi scoppia. Mi fanno male persino le palpebre. E poiché non mi piace andare in giro ad ostentare l’ennesima influenza ho deciso che utilizzerò questo blog come lamentatoio ufficiale. Il che dovrebbe conferirgli un certo spessore quanto ad utilità… E’ quel gran figo di Kid_A che mi ha attaccato questa porcheria. Ha visto due giorni di sole e ha ben pensato di andare al lavoro in maglietta e pantaloni corti. Non ha il fisico. E io anche meno. Perciò nonostante a casa nostra si viva e si dorma a turno, mi ha ammorbata all’istante. Dio benedica il fine settimana. Che passerò a letto cercando una posizione comoda in cui addormentarmi. Senza trovarla per i più svariati dolori articolari. Ma anche no. Kid ha adocchiato un ristorante. E l’ha eletto a nostra indifferibile destinazione per domani sera. Come se fosse l’ultimo weekend della nostra vita. Anzi ha già prenotato. Fregandosene dell’opinione contraria del mio stomaco. Doveva assicurarsi che, come da menù, servissero il piccione. Cioè, che schifo. I piccioni sono gli animali più sporchi del mondo. Fossero maiali o vitelli basterebbe un bel getto d’acqua per dargli una lavata pre-macellazione. Ma i pennuti, con tutte quelle piume… E poi possono vantare gli escrementi più tossici del west.

Ho già scritto del matrimonio delle colombe? Qui all’Oratorio non si sposa nessuno. Inshallah. Ma all’Obitorio era un tripudio di “Finché noia non ci separi” (parrebbe infatti che la maggior parte dei matrimoni non finisca a causa delle corna. Deludente: non trovate oh miei assidui lettori?). E non mancavano gli amanti dei grandi classici da telenovela sudamericana. Tra cui la coppia che, in onore della purezza del proprio neocostituito legame, decise di liberare sei colombe. Sei, non giusto un paio per fare scena. Sei piccioni bianchi, in altri termini. Che nessuno venne a riprendere. Mica scemi. E le odiose creature presero residenza sulla Loggia del Fumo. Cagando ovunque. E costringendo me e Kollega A. ad alternarci nelle pulizie del Venerdì. Armati di scopa e secchiello dell’umido riempito di acqua calda e sapone per le mani ci cimentavamo nella lotta all’escremento tossico. Perdendo in partenza. Non che le armi a nostra disposizione fossero molto efficaci… Quindi parlatemi di cibo e vomito. Parlatemi di piccioni e vomito anche la cena di Natale del 1986.

Ma Kid_A è ottimista. L’Oracolo di Delfi deve avergli parlato. La sentenza è che starò alla grande ed avrò una voglia disperata di guardarlo ingozzarsi di piccione. Che poi a me la carne nemmeno piace. Nessun tipo di carne. La mangio solo perché non sono io a cucinare. E, come diceva mia madre, “O mangi sta minestra…”. Perciò mi adeguo. Ma questo Sabato no. Non ce la posso fare. E sto provando a giocare d’astuzia. Punto sul lato economico. E che dio me la mandi buona…

Con Kid abbiamo parlato per almeno un anno dell’idea di ristrutturare il bagno. Ma la cosa rimaneva lì. Incastrata nel posticipo del posticipo del posticipo… Poi un giorno lui legge su Internet di un’attrice deceduta a causa di un batterio che proliferava silenziosamente nella sua abitazione. E decide che i residui di muffa sulle pareti del bagno, quelli che nemmeno l’acido muriatico riesce più ad eliminare, potrebbero ucciderci da un minuto con l’altro. Il che mi sembra un filino eccessivo. A sostegno della sua tesi vengo obbligata a leggere la storia della donna che sembra essere deceduta per un infarto fulminante. Non poi così convincente, in fin dei conti. E decido che abbiamo bisogno di dormirci sopra. Ma l’indomani lui non sembra avere nessuna intenzione di desistere. Che ristrutturazione sia, gli dico. E fin qui tutto bene. Ma, sul lato pratico scopriamo che un metro quadro di piastrelle costa cento euro e un bidet trecento. Il che fa scoppiare un prevedibile conflitto. Lo svolgimento è meno scontato di quanto mi aspetti. Invece che dire apertamente quello che pensiamo ci areniamo sull’”Allora facciamo come vuoi tu…”. La morte per eccellenza di ogni confronto costruttivo. Anni fa i miei ristrutturarono l’intera casa. Senza divorziare a fine lavori. La cosa all’epoca non mi parve più di tanto eccezionale. Adesso invece mi trovo a chiedermi come siano riusciti a sopravvivere. Ovvero chi dei due abbia ceduto alle pretese dell’altro.

Non che la cosa mi incuriosisca realmente. Mi interesserebbe molto di più riuscire ad instillare in Kid_A un po’ di buon senso. Non quanto al rifacimento del bagno. Lì la causa sarebbe persa in partenza. Ma almeno sul piccione. Provo a suggerire che sarebbe utile evitare spese accessorie. Lui è andato in fissa. Cancellare la prenotazione? Non esiste al mondo… Anzi mi contrattacca a suon di ottime recensioni del Piccione Restaurant. Quelle negative si guarda bene dal riferirmele. E intanto l’ennesimo elettricista, piastrellista o idraulico lo chiama al cellulare. Sul mio i numeri di tutti questi professionisti del furto legalizzato sono finiti sulla lista nera dei respinti in automatico. Dal momento che io e Kid non abbiamo una linea comune e poiché di avere il bagno rosa piuttosto che azzurro non mi frega granché, ho adottato la strategia della lumaca. Mi sono ritirata nel mio guscio. Faccio la vaga e lascio che sia lui a gestire l’ingestibile. Mi limito ad annuire di fronte ad ogni piastrella, rubinetto o sanitario che mi sembra di capire gli piaccia. E lascio a Kid ogni forma di relazione pubblica. Ma sul Sabato al ristorante non intendo fare nemmeno un passo indietro. E a riprova della mia determinazione questo post finisce così. Indefinito. Come tutti i suoi “fratelli”. Ma questa volta stranamente per una buona ragione. Devo vomitare…

P

Intervallo (Perchè andare avanti è sempre un pò come tornare indietro)

Non ho scritto nulla per una marea di tempo. Non saprei nemmeno quanto con esattezza. E non è che la cosa mi tormenti molto. Non avevo nulla da dire. Non ho niente da scrivere nemmeno adesso. Ma ho deciso che mi sarei affidata alla sorte. E ti pare che non mi giocasse un tiro mancino… Ho stabilito che avrei scritto se fossi riuscita ad accedere al sito. Poiché sono negata per le passwords e gli usernames avevo la certezza matematica che la fortuna avrebbe girato dalla mia parte. Invece boom: dentro al primo tentativo. Avrei dovuto saperlo che la matematica è un’opinione e che il fato ti volta sempre le spalle. A prescindere. Che tu voglia vincere alla lotteria di Capodanno o perdere mezz’etto di peso dopo tre settimane di dieta ferrea il fallimento è assicurato. Tuttavia non sono pessimista. Io credo ancora che la ruota prima o poi girerà dalla mia parte. Altrimenti ben lungi da me sarebbe l’idea di provare a loggarmi su WordPress. Il che fa molto Cantami o diva del pelide Achille l’ira funesta… So anche un paio di versi in più. E riuscire ad arrivare fino alla prima virgola mi fa sentire molto figa. Come se nella vita servisse a qualcosa. So anche l’inno nazionale. La prima strofa, giusto per ridimensionare la cosa. Me l’ha insegnato Kid_A, che adora lo sport e ha fatto il servizio militare. Non so se c’entrino più le medaglie d’oro che sporadicamente qualche connazionale vince o le giovanili vicende pseudo belliche, ma ha deciso che dovevo essere educata all’amor patrio. E ha funzionato. Più o meno. Non amo questo paese, ma la memoria a breve termine ha recepito ogni parola nel giusto ordine. Un po’ come quelle dell’Iliade… Dalle dieci cose che ho fatto durante la mia assenza posso depennare questa. Il fatto che ne manchino nove non mi consola molto. Affidarmi al mondo degli elenchi mi ha sempre fatto tristezza. O forse provo una banale forma di invidia segreta per quelli che li sanno fare. La lista dei buoni propositi: di fine estate, di inizio anno, del post compleanno. E’ eccezionale trovare un tot di cose che da tutta la vita ti riproponi di fare e che per tutta la vita ti riproporrai di fare senza mai raggiungere l’obiettivo. Ma anche la lista della spesa. La mia è un “non pervenuto”, nel senso che io non pervengo a farla. Oppure lei non perviene con me al supermercato. Quindi aboliamo il concetto di elenco, limitandoci a navigare a vista su qualcosa che ancora più essere oscuro alle migliaia di lettori del mio blog. Nonché indispensabile alla prosecuzione delle loro vite. Ad esempio: ho lasciato l’Obitorio e sono finita all’Oratorio. Il che non significa che mi sia convertita al cristianesimo. O che abbia cambiato lavoro. Piuttosto abbiamo inaugurato la stagione (e sarà davvero poco più di una stagione) del lavoro itinerante. Siamo in regime di asilo politico last-minute. E come tutti i last minute ha i suoi vantaggi: non paghiamo l’affitto. Ma gli ospiti sono come il pesce. Puzzano. Se non dopo tre giorni, nell’arco di tre mesi cominceranno a considerarci estremamente maleodoranti. E saremo di nuovo sulla strada. Tuttavia non riesco a considerare il mio status di profuga come un problema. Essere finita nel buco-del-culo del mondo mi fa sentire come se fossi dentro all’Intervallo della RAI. Con quei paesetti sconosciuti. Imboscati in provincie dalle sigle indecifrabili. E il campanile, il ponte, le fronde degli alberi a fare da contorno. Tutti così uguali. Tutti così meravigliosamente osceni… Ma mi sta bene. Ho sviluppato un certo gusto per l’orrido. Ho imparato a prendere le cose come vengono… Ah sì, ecco un’altra cosa che mi è capitata. Sto attraversando il mio periodo zen. Molto zen. Per arrivare oltre i confini della civiltà ci metto il doppio del tempo. La mia percentuale di perdita dell’unico autobus che passa nell’arco di due ore è incrementata del 50%. Devo litigare coi nanosecondi per completare il mio orario settimanale. Divido l’ufficio con tre persone per cui non c’è verso di avere sessanta secondi consecutivi di silenzio. Ma mi sento estremamente easy. Non che sia qualcosa che ho fatto, ma non guasta. Come non è guastato tornare in Sudafrica una seconda volta. Però sta diventando un problema. Kid_A ha prenotato di nuovo per il prossimo Dicembre. O peggio: è nella sua fase di turista-fai-da-te. Da oltre un anno ha messo al bando le agenzie di viaggi. Da allora io sono la sua agente turistica. Ovunque si vada mi favorisce la sua carta di credito e lascia a me tutta la parte organizzativa. Lo scenario è inquietante. E lo sarebbe ancor di più se diventassimo come quelli che timbrano il cartellino delle vacanze estive a Milano Marittima. Stesso albergo, stesso bagno, stesso ombrellone… Per scongiurare almeno in parte il pericolo ho convinto il mio amato che non potevamo perderci la Provincia del Capo Settentrionale. Il che ci farà fare solo 3.500 km di spostamenti. Per vedere leoni da una parte e leoni dall’altra. Non so se sia una buona idea. Occhio e croce direi di no. Posso solo pregare che il Kgalagadi sia bello quanto il Kruger. Oppure che l’aereo cada all’andata. Avendo prenotato un volo della Egypt Airlines mi sento più incline a puntare sulla seconda. Anche se non ho poi tutta questa gran voglia di morire…