Organi vitali (I pazzi non dimenticano)

Torno a casa dopo il lavoro. Sono le quattro del pomeriggio. Voglio pranzare. Devo. Ho fame. Ma non mi va di preparare nulla. Prendo un vasetto di marmellata. Alle more o qualcosa di simile. L’appoggio sul piano cucina. E la scaravento a terra. Non so come. Forse con il polso. Panico, panico panico. Resto immobile per un minuto buono. Nel mio cervello passano tutte le maledizioni. Quelle possibili. E quelle impossibili. Cerco di rimuovere i pezzi di vetro più grossi. So che mi taglierò. Ma non succede. Mi fermo di nuovo. La marmellata è rimasta compatta. Sdraiata sul pavimento sembra il fegato di un bambino. Non che ne abbia mai visto uno. Ma decido che è così. Ancora panico. Frustrazione. Rabbia. Da dove comincio? E pensare che avevo fretta. Ci perderò il pomeriggio. Non so come raccattare il fegato. Andrà ovunque. Prendo un cucchiaio. E scopro che è compatto. Come un vero fegato. Lo raccolgo. Mi sporco le dita. Istintivamente le porto alla bocca. C’è vetro. A granelli minuscoli. Sputo. Raccolgo i cocci. Quelli piccoli me li perdo. Camminerò a piedi nudi. E le schegge mi bucheranno i piedi. Ma non succede. Prendo il mocio. Lavo il pavimento. Ma rimane uno schifo. Pieno di aloni appiccicaticci. Mi incollerò i piedi. E questo succede. Intanto penso a MocioMan. Lui è pazzo. I pazzi sono gli unici che quando stai male ti chiedono se ti va parlare. Loro ti vedono. E non scappano. Gli altri ti vedono. E girano la testa. Fanno come se nulla fosse. Scappano. Anche se in teoria dicono di volerti bene. E magari te ne vogliono. Però… E io mi ritrovo su un autobus. Sto tornando a casa. Sono stanca. E sto per confessare la mia tristezza. Ad un uomo che usa come copricapo uno straccio per i pavimenti. Ma mi trattengo. Non so perché. Anzi lo so. Vorrei dirgli tutto. Però vorrei che poi lui dimenticasse. Subito. Non avrebbe senso. Lo so. Ma diversamente sarei a disagio. I pazzi dimenticano? Nel dubbio evito. Lui va via. Incredibile. Avrei detto che si sarebbe attaccato ad altro. Ma si allontana. Scrivere così spezzato mi fa male. E’ semplice. Ma si finisce col dire un mucchio di fesserie. Sono sconnessa. Da Internet. Ancora. Dal mio cervello. Come sempre. Non potrei fare di meglio. Una volta ho letto un libro. Era scritto con la paratassi. In parte. Filava. Alla grande. Facile. Come rubare le caramelle ad un bimbo. Poi diventava normale. L’ho letto tutto. Ma non ricordo nulla. Forse sono stata troppo veloce. Divoro e dimentico. Come se fossi bulimica di lettura. Però ricordo che le lodi sulla paratassi si sprecavano. Io la trovo noiosa. Non scrivo con la paratassi. Sia chiaro. Ma anche io sono noiosa. Ergo con l’autrice abbiamo qualcosa in comune. Se mi leggesse si rivolterebbe nella tomba. Perché credo sia morta. Anche il mio discernimento è morto. Ma volevo scrivere. Ho scritto. Cazzate. Ma ne avevo bisogno. Mi ha disteso i nervi. Spaziare con la mente. Funziona. Non del tutto ma funziona. E mi è passata la voglia di mangiare. E con la marmellata ho chiuso. Per sempre. Mi fa impressione. Sembra fegato.